Foto-Notiziario Gennaio/Febbraio 2015 - page 10

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DIETRO LA FOTO
A volte basta una fotografia a creare un mito. Come nel caso
di Anita Ekberg, la diva della Dolce Vita di Federico fellini.
Anche se uno sguardo oltre la foto può svelare dei segreti
C
he cosa resta di una diva quando se ne va per sempre? Il ricordo
fissato dalle immagini, ma non sempre uno scatto equivale a un
vantaggio. È una perfidia augurare a una ragazza dei giorni nostri
di diventare una diva. Vita difficile quella della diva, talvolta insop-
portabile, più spesso doppia: quella ufficiale, pubblica, immortalata
da foto che rendono eterna la persona in forma di mito, e quella più
privata, quasi sempre nascosta all’occhio pubblico, perché l’imma-
gine ufficiale di una diva non si può barattare col tempo che scorre.
Greta Garbo decise di uscire di scena nel senso più letterale, spa-
rendo. E si nascose così bene che quando i fotografi a caccia di sco-
op la “pizzicarono”, pochi ci credettero. Era diventata mitica come
il mostro di Loch Ness. E le foto di Ava Gardner lasciavano aperte
le porte del sogno a milioni di uomini, mentre nella vita quotidiana
la diva passava da un amor triste all’altro, sbronzandosi nel modo
peggiore, fino a rovinare anche quel volto così bello e bramato.
C’è una foto di scena di Rita Hayworth divenuta storica come quelle
di Anita Ekberg ne La dolce vita. Rita Hayworth con le braccia alzate,
guantate, le ascelle scoperte, nel film Gilda. La foto fece il giro del
mondo, ma fu la condanna della vita privata della povera attrice, che
in un momento di solitudine mista a rancore, abbandonata in malo
modo da tutti, commentò: “Gli uomini vanno a letto con Gilda e si
svegliano con Rita”.
Anche Anita Ekberg per tutti è ancora là, placidamente scandalo-
sa nel vestito nero inzuppato nella Fontana di Trevi: “Come here,
Marcello”. E Marcello andò. Tutti avrebbero voluto essere battezzati
come Mastroianni in quel film, e l’attrice ne uscì inconsapevolmente
a pezzi, come Gilda. Per tutti, per l’immaginario collettivo, Anita era
quella, era la dolce vita, con quell’abito meraviglioso che ne esalta-
va forme che l’America definì “larger than life”.
Invece, lei, Anita, Anitona, condannata dal film e dalle foto di sce-
na, visse il resto dei suoi giorni sempre più
nascosta in una villa dei Castelli romani, da
dove usciva raramente, camuffata, proprio
come Greta.
La riesumò, con cinismo geniale, anco-
ra Federico Fellini, e ce la mostrò a casa
sua in Intervista, malinconica icona di un
passato che non poteva ritornare. Ma forse
aveva ragione un’altra diva, addirittura del
cinema muto, Gloria Swanson, che nell’ul-
tima scena di Viale del tramonto, afferma,
stentorea nella sua follia: “Le dive non in-
vecchiano mai”.
Anita era d’accordo. La conobbi, anzi sareb-
be meglio dire la vidi, in una fredda serata
milanese costruita per i suoi ricordi. Arrivò,
ormai anziana e non più eroticamente bur-
rosa come appariva in quelle foto celeberri-
me, ma con la stessa altera consapevolezza
di essere un mito, un reperto archeologico
vivente di Cinecittà e di Hollywood.
Che differenza c’è, alla fine, tra la foto ben
posata di un abito illuminato dalla luce e
quella quasi rubata di una signora sulla se-
dia a rotelle che si rivede a distanza di tanto
tempo? Nell’una la diva non c’è ma s’imma-
gina, nell’altra la diva è scomparsa, pur es-
sendo presente. E allora, anche su queste
due foto si staglia il motto felliniano: “Nulla
si sa, tutto si immagina”.
di Manuel Gandin
NULLA SI SA
TUTTO SI IMMAGINA
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