Foto-Notiziario Maggio 2016 - page 46

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piatto. Anche lì bisogna cogliere l’attimo fug-
gente perché dopo alcuni secondi si ossida e
non è più appetibile. Ci vuole una certa sen-
sibilità per capire per esempio come presen-
tare un prodotto girando il piatto e trovando
il suo lato migliore. Sì, perché c’è sempre
un lato migliore, il piatto va girato piano pia-
no finché prende un’ombra o una luce. Poi
la tecnica si può anche insegnare, anche se
io sono molto naif, non sono un tecnologi-
co. Se mi chiedevano di spiegare cos’era il
diaframma cambiavo subito discorso. Per
me la macchina fotografica è solo un mezzo
per fotografare, si usa soprattutto la testa.
Da piccolo giocavo con il Lego e creavo delle
costruzioni che poi, non avendo altri pezzi a
disposizione, dovevo disfare per farne altre.
Ecco, nel mio subconscio un piatto gastro-
nomico è una costruzione e forse ho iniziato
a fotografare per mantenere nella memoria
quelle costruzioni. Uno deve fare quello che
ama fare e anche che può fare. Cioè se uno
vuol fare il pornodivo ma non ha le misure
giuste è meglio che cambia mestiere.
Quanto è importante lo studio
e l’aggiornamento per un
fotografo?
Quando un fotografo non sta lavorando, lo
studio è fondamentale, ma non quello sui
libri ma sul set con prove e test. Io l’ho sem-
pre fatto, anche quando lavoravo nel com-
merciale. Nel 1996 ho sperimentato la tec-
nica del doppio diaframma differenziato con
luci differenti. Quando portavo le immagini
pensavano che ci fosse dietro chissà qua-
le post produzione, invece era una tecnica
semplicissima che garantiva effetti davvero
sbalorditivi. Quello è studiare, informarsi,
essere avanti. Non conta la macchina, è inu-
tile avere una Ferrari se poi non sai guidare,
se guidi con il cuore riesci ad andare anche
con un’utilitaria.
Perché ha scelto il food come
genere fotografico?
Diciamo che è una questione… di famiglia.
Dopo aver passato dieci anni come assisten-
te di mio fratello a fotografare la gastro-
nomia, quasi 16 ore al giorno, nel 1986 ho
sentito l’esigenza di aprire un mio studio. In
quel periodo c’era tantissimo lavoro in tutti i
settori e iniziai a fotografare accessori moda,
still life diciamo. In quegli anni ho voluto
spaziare un po’ su tutti i generi di fotografia
ad eccezione delle foto aeree perché soffrivo
il mal d’aria. Ho fatto davvero un po’ di tut-
to e credo bene, anche perché ho affrontato
ogni lavoro con serietà. Poi ho sentito che
dentro di me c’era qualcosa che mancava:
una specializzazione. Come quella dei medi-
ci, che si occupano di determinate parti del
corpo. Così ho lasciato perdere tutto ciò che
non riguardava la gastronomia e ho dato ret-
ta a quelli che sono i cromosomi della fami-
glia Marcialis: la cucina. Solo che invece che
stare dietro al bancone della cucina, stavo
dietro alla macchina fotografica.
Le piace cucinare?
Certamente, se posso non esco a cena a
meno che non siano occasioni speciali per-
ché preferisco ricevere a casa mia e metter-
mi dietro ai fornelli.
Il food negli ultimi anni è
diventato una moda. Come se
lo spiega?
Non c’è una spiegazione specifica, è sempli-
cemente un settore che sta tirando tantissi-
mo, anche fin troppo, un po’ come negli anni
Ottanta il settore della moda. Credo però
che siamo arrivati a una saturazione. Troppa
esposizione alla fine ha l’effetto opposto. Mi
ricorda quando al cinema agli inizi degli anni
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