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          H
        
        
          imalaya, yak, ghiacci, bianco infinito, fatica,
        
        
          dignità, composizioni di colori ardite, ele-
        
        
          ganti e impensabili altrove. Questo è il Nepal
        
        
          che conosciamo. Facce ironiche, religiosità se-
        
        
          grete e silenziose, scenari barocchi da Sud del
        
        
          mondo e da un ipotizzato futuro ipertecnologico
        
        
          (che è già presente) sono invece ciò ci sorpren-
        
        
          de di questo Paese strafotografato, magnifico e
        
        
          dolente. Insomma è un Nepal che non ti aspetti,
        
        
          quello di Enrico De Santis, raccontato nella mo-
        
        
          stra Don’t forget Nepal, al Museo della scienza e
        
        
          della tecnica di Milano fino al 31 marzo.
        
        
          Cosa volevi raccontare
        
        
          del Nepal?
        
        
          La sua essenza fatta di spiritualità e di lotta per
        
        
          la sopravvivenza di chi ci abita con la natura
        
        
          estrema. Ho cercato ciò che unisce buddismo e
        
        
          induismo, che qui hanno punti di contatto altrove
        
        
          impensabili, e insieme ciò che li distingue netta-
        
        
          mente. Ad esempio ho fotografato la Kumari, la
        
        
          dea vivente, venerata da entrambe le religioni e
        
        
          ho mostrato la riservatezza dei monaci buddisti
        
        
          contrapponendola all’esibirsi dei coloratissimi
        
        
          sadù. Ma ho anche cercato illustrare la battaglia
        
        
          per la difesa della loro l’identità dai potenti co-
        
        
          lossi Cina e India.
        
        
          La mostra è divisa in tre
        
        
          sezioni. Ce le illustri?
        
        
          Ogni parete della piramide ha tre lati e così le
        
        
          trev “sezioni” della mostra: Katmandu e la spi-
        
        
          ritualità nepalese; la spedizione del Cobat (con-
        
        
          sorzio nazionale riciclo) che ha portato pannelli
        
        
          solari a dorso di yak fino alla vette himalayane
        
        
          e il laboratorio della piramide Evk2-CNR, una
        
        
          tenda di luce a quota 5050 m, un laboratorio ita-
        
        
          liano ad alta tecnologia per la ricerca scientifica
        
        
          in alta quota. Tre percorsi che si intersecano da
        
        
          leggere su foto di 150 cm x 1 metro. Tre anche
        
        
          come gli elementi base della fotografia: luce,
        
        
          tempo e lo sguardo di chi osserva. Perché ogni
        
        
          fotografia rinasce ogni volta con un nuovo spet-
        
        
          tatore. Secondo me.
        
        
          Contrasti azzardati:
        
        
          altissima tecnologia e una
        
        
          vita quotidiana arcaica. Come
        
        
          hai vissuto tutto questo?
        
        
          Il Nepal riesce a unire linee che vanno in dire-
        
        
          zioni diverse... La tecnologia avanzata della pira-
        
        
          INCONTRO