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ferisco non avere persone che mi disturbino.
Viaggiare da soli ti permette di essere più libero.
Se vedo una situazione che mi piace moltissi-
mo posso rimanere là anche un’intera giornata.
Viaggiando in gruppo probabilmente perderei
delle occasioni.
Quali sono i viaggi che
ricordi maggiormente?
Posso citare il viaggio in Myanmar, era il 2009
e c’era ancora la dittatura e la gente non aveva
niente ma ti dava l’anima. Anche la regione del
Maramureș, una regione a nord est della Ro-
mania che confina con l’Ucraina, un altro posto
dove la vita sembra si sia fermata un secolo fa.
Sono molto poveri ma ti offrono tutto quello che
hanno. Una signora mi ha fatto cenno di aspet-
tare, perché comunque parlano solo in rumeno,
è entrata in stalla ed è uscita con un bicchiere di
latte appena munto perché non aveva altro da of-
frirmi. È stato molto emozionante anche entrare
nei villaggi degli aborigeni australiani anche se
era poco consigliabile. Ci sono andata da sola a
mio rischio e pericolo. E poi c’è il viaggio che ho
fatto l’anno scorso in ottobre in Mongolia, un’e-
sperienza davvero unica.
Perché hai deciso di andare in
Mongolia?
Sono partita con lo scopo di immortalare i popo-
li che si stanno estinguendo. In Mongolia esiste
un popolo che si chiama Tsaatan e sono rimasti
in circa 150. Ho fatto alcune ricerche e ho preso
contatti con alcuni italiani che vivono in Mongolia
tra cui David Bellatalla, un antropologo spezzino
Sopra, bambini
durante la merenda
in una scuola
elementare di
Tsagaannuur.
Nell’altra pagina
dall’alto, una
famiglia Tsaatan
che nel periodo
invernale vive
ai confini
della Taiga per
permettere ai
figli di andare
a scuola; una
Yurta incontrata
lungo il percorso
e la guida dela
fotografa insieme
alla moglie