e ci sono rimasto per quasi trent’anni diventando
il più giovane dirigente in Lombardia. Nel 2009 ho
lasciato la carriera al culmine per cercare nuove
motivazioni che ho poi trovato nella mia passione
di sempre: la fotografia.
Il viaggio comunque ti ha
sempre attratto molto?
Nella mia carriera come manager del turismo
viaggiavo molto, ma con ritmi non adeguati per
cogliere l’essenza delle cose ed esserne pervaso
in modo benefico. Viaggiare rende migliori, ma
solo se si entra nella dimensione del ritmo del
viaggio, più lenta e meditativa rispetto a quella di
chi viaggia per lavoro.
Meglio viaggiare o fotografare?
Sono attratto da ciò che è esotico e lontano per la
semplice ragione che in quei paesi ancora, e an-
cora per poco, si può cogliere uno stile di vita più
“antico”, più legato alle tradizioni, ma sempre più
lo stile di adesione a uno standard di modernità
occidentale ruba spazio a questo. Quindi il viaggio
è essenziale per posizionarsi nelle coordinate per
poter operare. Poi fotografare è un grandissimo
privilegio. L’occhio fotografico è la conseguente
sensibilità che permette di vedere oltre la faccia-
ta, permette approfondimenti visuali e culturali
che altrimenti non verrebbero colti se non vi fosse
lo stimolo della narrazione fotografica.
Qual è il tuo approccio al
reportage?
Vedo nella storia o narrazione fotografica due
aspetti. Il primo di informazione, sensibilizzazio-
ne e anche di denuncia rispetto a un tema, ma
vedo spesso un fine più personale, più intimo nel
riallacciare comprensioni e legami con aspetti
ormai dimenticati del comportamento dell’uomo.
Questo secondo aspetto interessa sicuramente